Il complesso chiesa-convento dei Domenicani è denso di spessore architettonico e storico-religioso. La tradizione fa risalire al 1275 l’erezione di una chiesa in onore di Maria Santissima Annunziata voluta espressamente da re Carlo I, molto devoto della Vergine (come dimostrano le rappresentazioni monetali), a cui viene affiancato un convento retto dai padri Domenicani.
Dagli storici locali si apprende che, a fine XIII secolo, era attiva ad Atessa la Compagnia di Maria SS Annunziata, probabilmente voluta anch’essa dal sovrano, la cui cappella si trovava sotto il Campanile della chiesa. Sempre a questa data gli storici locali fanno risalire anche la Congrega del Santo Rosario e Gesù, ancora attiva.
Tuttavia le iniziative architettoniche promosse dalla Compagnia dell’Annunziata sull’edificio della chiesa di San Domenico, che all’origine doveva presentarsi come una cappella o modesta aula di culto, sono datate a fine XVI secolo. Infatti un primo intervento edilizio sulla struttura viene effettuato nel 1566.
Secondo Bartoletti i procuratori dell'Annunziata, Gianfrancesco Cardona, Luca Belluso e Liberatore Falcucci, stipularono un contratto con i fabbricatori Anzio e Tommaso Lombardo per costruire il transetto e la lamia della cappella e nuove colonne. Furono realizzati anche i pilastri e i piedistalli alle navette laterali ed altri lavori per 34 ducati.
Dal 5 al 9 giugno 1577 è ospite del convento, una struttura già presente e consolidata da quello che si può desumere, il padre domenicano Serafino Razzi. La sua è una testimonianza diretta, giornalistica e non è affatto lusinghiera. Egli scrive: “…il mercoledì mattina 5 giugno 1577, partendo dalla Guardia…..da Santo Sagno venimmo al fiume del Sangro e lo passammo sopra il ponte di legnofabricatoci dalla Dogana per le pecore nel ritorno loro di Puglia. E poscia, salita una gran costa, al XVI miglio dalla Guardia, arrivammo alla Tessa, Terra di 700 fuochi, lontana da Lanciano 10 miglia, e dal Vasto 12, edificata sopra una vaga collina, con bellissimo e fertilissimo contorno, e massimamente inverso la marina adriatica, della cui vista sicuramente ella si gode. Pregato da quei padri stetti con loro 4 dì. E la mattina seguente a’ 6 di giugno, festa del Corpus Domini, nella solenne processione vidi tutta la Terra, la quale tiene 4 parrocchie, e tre conventi, cioè dei Celestini, de i padri Zoccolanti e il nostro. E su la via che scende a Vasto è una bella chiesa di San Rocco. Non è questa Terra sotto Vescovo alcuno ma sotto la cura di un proposto, che ha giurisdizione episcopale. E signoredi lei nel temporale è il Signor Marcantonio Colonna, e ci tiene un Vice Marchese. Era già di mura cinta, ma oggi è in buona parte sfasciata. Viene detta in volgare la Tessa, ma latinamente Atissa, da Atis, come dicono, marito, e Sa, moglie di lui, gentiluomini Romani, che la edificarono. Lessi in pieve questo veracissimo detto, cioè “Nocet bonis, qui parcit malis. Il popolo di questa Terra, per quello che nello spazio di 4 giorni potei conoscere, e per quanto da altri riferito mi fu è molto indivoto. E buona cagione di ciò dicono essere il clero di 12 in 15 preti, senza lettere, senza disciplina e senza timore. Imperochè litigandosi in Roma del Jus presentandi tra il signor Marc’Antonio e la Terra, si trovano di presente senza preposto. Onde avviene che detti preti con la briglia sul collo, dirupando pe i vizi, sono altresì dal popolo seguitati. E non havendo detto preposto più che cento scudi d’entrata per lo più viene nelle mani di qualche fallito. Onde meglio sarebbe che detta Terra fosse liberamente sotto l’Arcivescovo di Lanciano, da cui pigliano la cresima e l’altre cose, le quali non può fare il preposto loro, per non essere Vescovo. Imperochè sarebbono da detto Arcivescovo visitati, e ritirati al bene. Et anco i religiosi non deono essere in detta terra pienamente esmplari nella buona vita. E fra l’altre biasimevole creanze di detto clero una è che da ogni suddiacono e diacono nuovamente ordinato vogliono 4 giulii per uno, e dal sacerdote 5,altramente no’lasciano loro cantare né pistola, né Vangelo, né Messa; et il preposto vuole il doppio di più. Abusi, nel vero, intollerabili e che si dioverebbono da i prelati di Roma emendare. Venendo un morto alla chiesa nostra, osservai che fino quando si dice il pater nostro la maggior parte de i prefati Rev. Preti stavano a sedere. Ma dove son ioi transcorso a scrivere le imperfezioni di questa terra, purtroppo note e scandalose! Il lunedì mattina alli 10 di giugno partimmo dalla Tessa…”. Padre Serafino Razzi, caustico e tagliente sui comportamenti del clero, nulla tuttavia riferisce sull’architettura della chiesa e del convento e sui beni artistici ivi presenti.
In seguito il procuratore Liberatore Falcucci, come afferma Bartoletti, attingendo da atti del notaio Donato Donalia, nel 1601 stabilì con Tommaso Goutard Lombardo di alzare la lamia della navata centrale della chiesa e fare le lamie alle navette laterali, di inferiore altezza rispetto a quella centrale. Gianfrancesco Cardona, inoltre, i cui familiari venivano seppelliti in San Domenico, perché si erano distinti nel finanziare opere per la chiesa o per il loro operato religioso, come Padre Filippo, il 13 aprile 1569 aveva lasciato 200 ducati per realizzare la scarpa della chiesa e del convento di San Domenico. Lo riferisce sempre Bartoletti, derivando la notizia da atti del notaio Cesare Primiani.
Nel 1654 il padre Antonio Coccia promuove interventi sulla facciata che viene portata a termine nel 1694, con esiti stilistici tardo rinascimentali. Il timpano poggia su colonne binate che danno eleganza a tutto l’insieme ; e , mentre solo il portale viene rivestito di marmi, tutto il resto della facciata rimane senza decorazioni. Il progetto originario, di cui si conserva il primitivo disegno, prevedeva una statua sul pinnacolo e statue di Angeli sugli angoli del timpano, con un sorprendente effetto plastico e decorativo.
Nel 1680 essendosi spezzata la campana grande, la Compagnia dell’Annunziata provvide a farla fondere con un sostanzioso contributo integrato dalle offerte dei fedeli.
Alla semplicità dell’esterno fa riscontro la ricchezza dell’interno.
L’interno, infatti, è un’apoteosi di decorazioni, dipinti e stucchi barocchi, dal cromatismo caldo, avvolgente e luminoso, a cui le iridescenze dell’oro, dell’azzurro, del verde, del bruno e di tutte le altre tonalità conferiscono una eleganza ricca di fascino e di misticismo.
Sulla volta centrale e sugli spazi che sormontano la navata centrale, si snodano gli affreschi che rappresentano i misteri del Rosario. Ai lati i misteri gaudiosi e dolorosi, fatti eseguire da benefattori, come recitano le scritte; sulla volta della navata centrale cinque quadri grandiosi celebravano i misteri gloriosi, di cui solo tre sopravvivono, essendo stata la volta danneggiata nella II guerra mondiale. Sono opera del 1853 dell’artista atessano Giacomo Falcucci.
Sulle pareti laterali si snoda una lunga teoria di altari, con nicchie sormontate da capitelli e stucchi, che racchiudono statue o quadri di Santi diversi, ornati di candelabri ed arredi sacri. La nicchia sul fondo centrale dell’abside, con colonne binate, è un trionfo di decori diversi che incorniciano il timpano ondulato e racchiudono la statua della Madonna del Rosario. L’altare maggiore è ricco di decori e stucchi, così tutte le volte sono dipinte ed .ogni angolo dei soffitti è ritmato da decorazioni sobrie e mai superflue. Fra tutte spiccano gli affreschi con i 4 evangelisti e le rappresentazioni di Gesù fanciullo al tempio che discute con i dottori della legge e la scena della Crocifissione.
Fra le numerosissime statue emergono quelle di San Vincenzo, quella di San Domenico in terracotta e quella di un Santo vescovo in legno policromo del 1300, interpretata come San Leucio, ma anche tutte le altre statue sono di buona fattura e rivelano la ricchezza del convento che fu attivo fino alla soppressione, ratificata da Regio decreto n°221 del 14 dicembre 1814.
Nel 1814 la Cura di Santa Giusta viene trasferita dalla chiesa della Madonna dei Raccomandati o della Cintura alla chiesa di San Domenico.
Durante la visita pastorale del gennaio 1928, l’Arcivescovo Monterisi constata che la parrocchia di Santa Giusta conta appena 100 anime. Decide pertanto di trasferire a Piazzano, che conta 1800 anime e che è di pertinenza della parrocchia di San Leucio, il beneficio di Santa Giusta, da effettuarsi alla morte del parroco di Santa Giusta Don Nicola Bassani.
Il trasferimento del Beneficio di Santa Giusta nella chiesa rurale di San Vincenzo di Piazzano si compie nel 1934, subito dopo la morte di Don Nicola Bassani . La parrocchia assume il titolo di “S.Giusta e S. Vincenzo”.
Il complesso conventuale di San Domenico è stato rimaneggiato più volte ed ora ospita gli uffici municipali, mentre i fondaci, in cui era ubicata la neviera, sono stati adibiti a magazzini, archivi e, fino a qualche decennio fa anche a carcere. Dell’antica struttura è ancora leggibile l’impianto complessivo . Sul luogo dell’antico refettorio è stato ricavato, agli inizi del secolo XX, un teatro comunale, chiuso negli anni ottanta del novecento e poi di nuovo ristrutturato come teatro moderno, funzionale e sicuro. Anche gli uffici municipali sono stati ristrutturati a fine anni ottanta-inizi anni novanta del Novecento e l’atrio, coperto, serve per le riunioni del consiglio comunale.
La cappella e la Compagnia dell’Annunziata
Tale cappella era sta fondata come sede della Compagnia dell’Annunziata, probabilmente al tempo di Carlo I D’Angiò, molto devoto della Vergine.
Da Bartoletti si apprende che nel 1566 la Compagnia aveva l’obbligo di fornire il latte ai bambini esposti, che si portavano proprio in questa cappella, ed a quelli poveri, le cui madri erano morte o vedove. Nella cappella era dipinta una bella immagine dell’Annunziata.
Nel 1711 il preposito don Marcantonio Leporino, durante la visita pastorale, rimuove la cappella, piccola e mal esposta (folate di vento potevano rovesciare il calice e trasportare l’Ostia Santa durante la messa), da sotto il campanile, la trasferisce nella chiesa di San Giovanni e ve l’aggrega come Grancia della Cura.
Nel 1715 la Compagnia compra il capo altare di San Rocco e fa venire da Roma i due quadri dell’Annunziata e dell’Addolorata, essendosi costruiti i due Cappelloni a forma di croce greca in San Giovanni.
Cappella della Santissima Annunziata nella visita pastorale del 1840
(notizie desunte dai verbali della visita pastorale del 1840)
La cappella presenta un grave stato di degrado, è stata adibita a laboratorio di orafo e le sue rendite vengono usufruite dal Rettore curato della chiesa di San Domenico, ora Parrocchia di San Leucio.
Viene ingiunto al Rettore predetto di farne un uso più consono e di riportare , nell’arco di un trimestre, tale cappella al suo antico stato. Al Vicario Foraneo viene affidato il compito di indagare sui beni della cappella e sui relativi canoni.
Confraternita del SS Rosario e Gesù
Probabilmente, in origine, esisteva la sola Compagnia di Gesù, che Bartoletti riconnette alla fondazione stessa della chiesa e del convento dei Domenicani, a fine XIII secolo. Tenendo presente che le confraternite sotto il titolo del SS Rosario cominciano ad essere diffuse dai Domenicani alla fine del XV secolo, si può ipotizzare che anche ad Atessa la confraternita del SS Rosario fu aggregata a quella di Gesù agli inizi del 1500. L’istituzione canonica è riportata dal Bartoletti al 4 maggio 1589 e fu costituito padre del Rosario il Rettore della Compagnia, quantunque già in precedenza quest’ultima gestisse le Sante Indulgenze. L’assenso legale risale al 1813, ma non fu considerato valido da Ferdinando IV, di nuovo insediato sul trono di Napoli con il titolo di Ferdinando I re delle Due Sicilie. La Compagnia del SS. Rosario e di Gesù fu riconosciuta con Sanatoria di Ferdinando II il 16 Maggio 1857
Fra le opere della Compagnia, si evidenzia l’acquisto, nel 1701, della testa e delle mani del Bambino del Rosario, comprate a Lucca, e di una pianeta. Inoltre la Compagnia solennizzò l’evento con musica e feste. Nel 1708 contribuì alla fabbrica della chiesa e del campanile, fece lavorare una lampada d’argento, comprò paramenti sacri.
La chiesa aveva il Monte Frumentario e nella carestia del 1763 la Compagnia intervenne a favore dei contadini, senza avere la restituzione del grano dato.
Soppresso il convento nel 1814 la chiesa fu data in gestione alla Congregazione del Rosario e Gesù.
Statue e Quadri che si trovano nella chiesa di San Domenico
Sacrestia:
Quadro di San Domenico di Cocullo
Quadro di Santa Filomena dipinta da Francesco Maria De Benedictis a devozione del Rettore Nicola Antonio Genovesi. 20 settembre 1835
Dietro altare maggiore
Quadro di San Paolo 1805
Quadro di San Pietro 1826
Navata a sinistra
Statua di San Luigi in cartapesta
Tela di San Tommaso, San (è un segretario del santo) e la Croce
Statua di San Vincenzo Ferrer in pietra
Statuetta di Gesù Bambino
Tela di San Domenico ( Giacomo Falcucci restaurò nel 1856)
Tela Madonna del Rosario (Giacomo Falcucci dipinse 1854, rinnovata a spese di Don
Paolo Ferri)
Statua di San Domenico in tela plastica sopra porta della sacrestia
Bolla di indulgenza 1924 presso porta della sacrestia
Navata a destra
Statua di Santa Lucia in tela plastica dentro la teca. Roma 1953
Statua di San Pietro martire in cartapesta
Stele funebre con incisa lapide di Giacinta Cardona, morta a 3 anni il XIX calende di ottobre 1825
Tela di Santa Giusta ( fatta eseguire da Nicola Antonio Genovesi Rettore)
Tela di Santa Lucia, Santa Apollonia e Sant’Agata (a devozione dei fratelli Don Giacomo e Don Giustino Flocco. Giacomo Falcucci restaurò nel 1857)
Statua di San Biagio in cartapesta
Quadro della Madonna del Buon Consiglio (restaurato a devozione delle sorelle Cardone fu Giuseppe. 1957)
A terra tomba della fam. Ferri 1859
Sulla parete di fondo, lato ingresso, a destra, lapide con iscrizione da interpretare
Altre statue
Madonna per presepe cartapesta
Asinello per presepe cartapesta
San Giuseppe per presepe cartapesta
Gesù Bambino per presepe cartapesta
Cristo per sepolcro cartapesta
Statua lignea colorata e dorata: Santo Vescovo (probabilmente San Leucio)
H m.1,37
Il Santo, vestito con doppia tunica, ampia dalmatica alla greca e mitra, eretto, in posa frontale, con una mano benedice e coll’altra sostiene il pastorale. Posa su di una basetta propria, ottogonale.
Si trova in sacrestia. Fu rinvenuta nell’agosto del 1934 dal prof. Francesco Verlengia in un ripostiglio della chiesa, ove giaceva nascosta e abbandonata fra arredi sacri vecchi ed in disuso. Non è improbabile che sia l’antica statua di San Leucio, protettore di Atessa, trasportata, forse, nella chiesa di San Domenico nel secolo XVIII, dopo l’esecuzione del busto argenteo del Santo, attualmente esposto al culto nella chiesa omonima.
Opera indubbiamente di artista abruzzese, riferibile al secolo XIV
Scheda redatta da Verlengia 26 sett. 1934
- Notizie sulla chiesa di San Domenico desunte da libri, documenti archivistici, iscrizioni ed altro materiale presente in loco. -
Testo e ricerca storica a cura di Adele Cicchitti
Le parrocchie di Atessa erano in numero di 5 nel passato: San Leucio, San Michele, Santa Croce, San Giovanni, Santa Giusta. La Parrocchia di Santa Giusta è stata trasferita nel 1934 a San Vincenzo di Montemarcone. La Parrocchia di San Giovanni è stata trasferita nel 1937 alla Madonna del Buon Consiglio di Pili. Nel 1986 è diventata sede parrocchiale la chiesa di Santa Maria per servire la nuova zona di espansione urbana. Tutte le parrocchie di Atessa sono state canonicamente riunite nell’unica parrocchia di San Leucio il 10 aprile 2007. Per la zona valliva la parrocchia ha sede nella chiesa di San Vincenzo Ferrer di Montemarcone. La chiesa di San Luca nell’omonima contrada e la chiesa di San Benedetto a Piazzano fanno parte di questa parrocchia. |